01 ottobre 2015

Anna Genni Miliotti: LE FIABE PER PARLARE DI ADOZIONE-

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“Racconterete al vostro bambino della sua adozione?” chiede l’assistente sociale al colloquio d’idoneità. Non c’è da pensarci: la risposta è sì, oggi anche per obbligo di legge.

Raccontare. Ecco, il termine è quanto mai adeguato, trattandosi di bambini…

Ma come raccontare? Cosa dire? Con quali parole?

Quando i genitori si trovano a inventare una fiaba (perché di questo si tratta: inventare una storia simbolica) la trama – ci spiega Anna Genni Miliotti, autrice di “Le fiabe per… parlare di adozione” – contempla di solito un bambino “salvato” da un errore di fondo: la cicogna che ha sbagliato pancia, o sue declinazioni.

“La realtà – scrive la Miliotti – è invece ben diversa. Attraverso l’adozione si forma una famiglia e non si salva nessuno, o forse si salvano tutti nel senso che è una scelta che apre a un nuovo futuro per molte persone”.

Lo schema della “cicogna distratta”, o dell’angelo buono che risolve errori di altri, racconta ai bambini adottati una storia piuttosto fosca riguardo i genitori naturali, una storia “sbagliata”, di solito cara ai genitori adottivi.

L’autrice – docente in corsi universitari di perfezionamento sull’adozione e ideatrice di laboratori di scrittura finalizzati alla narrazione di tale esperienza – a riguardo sostiene, con forza: “Nessuno vorrebbe esser nato per sbaglio, perché qualcuno si è confuso tra famiglie e indirizzi. Con questo tipo di narrazione, non mi scorderò mai di sottolinearlo, si dà voce al più grande incubo di ogni adottato: essere nato per caso, non per scelta. Addirittura, per sbaglio”. Oltretutto si rischia di mettere eccessivamente in rilievo il ruolo del genitore buono, colui che salva, a scapito di quello del bambino, che invece dovrebbe essere nella storia il vero protagonista…

L’autrice (che è anche madre adottiva) richiama quindi la nostra attenzione su un punto chiave: “Ognuno nasce nel posto giusto. E il posto giusto… il posto giusto è quello dove inizia la nostra storia. È da lì che dobbiamo iniziare a narrarla. Potremmo raccontarla rispettando quella vera, quella fatta di tanti cambiamenti di indirizzo: una casa, una famiglia, un istituto, un’altra casa, e poi un nuovo paese e un’altra casa ancora. Perché in ogni storia c’è movimento, e ogni movimento genera cambiamento, e sofferenza. Ma per ogni sofferenza c’è una riparazione… e tutto si concluderà con un giusto finale, anche nella nostra fiaba. E che resti quello classico, per carità: e tutti vissero insieme per sempre felici e contenti! Altrimenti, che fiaba sarebbe?”.

Fonte: Il blog di F. Angeli

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