26 marzo 2015

LETTERA

DA UNA QUALUNQUE FIGLIA ADOTTIVA A UN QUALUNQUE GENITORE ADOTTIVO…



"Siamo da due lati opposti e al tempo stesso complementari; rendiamo possibile un incontro tra mondi che trascende da legami di sangue e somiglianze di tratti.
Non esiste alcuna ricetta, così come non c’è alcun manuale del buon genitore.
L’istinto, forse.
Ogni storia, poi, è storia a sè.
Assomigliamo alla terra in cui siamo andati a vivere, più di chi a questa terra appartiene da secoli e generazioni.
Assorbiamo come spugne il meglio e il peggio di mamma e papà... forse per un inconscio bisogno di mettere radici.
E così impariamo a guardare al di là...
Capiamo che i legami sono forti, proprio laddove non sono scontati e non sono dati a priori.
Capita, a volte, la sensazione di sentirsi incompleti: sono occasioni tanto utili, quando belle, pur nel loro essere destabilizzanti. Servono per scoprirsi e scoprire.
L’importante è non aver paura e non sentirsi soli


Vogliamo tornale là, dove siamo nati, per rispondere a quell’irresistibile richiamo della Pacha Mama.
E proprio là scopriamo, in lacrime, che nessuno ci aspetta, nessuno ci assomiglia davvero, pochi si ricordano di noi.
Servirà a comprendere l’importanza di tutto ciò che si vive e si è vissuto “a casa”. E tornarci sarà bello.
Abbiamo bisogno di andare fieri della nostra storia. Non siamo dei “graziati”, ma semplicemente molto fortunati. Ognuno di noi, poi, ringrazierà chi meglio crede: un Dio, il Destino, una legge, la burocrazia...
A volte veniamo guardati con sospetto: ci sentiamo richiedere il permesso di soggiorno, ci viene domandato “ti senti integrato?”, assistiamo a espressioni stupite quando qualcuno si accorge che parliamo bene l’italiano.
Se non ti puoi nascondere, perché carnagione, occhi, capelli non te lo consentono, l’unico modo per sopravvivere è portare se stessi con fierezza.
Non vi ricopriamo di ringraziamenti, nè di lusinghe, per la vostra scelta: sappiamo quanto essa sia coraggiosa, difficile e meditata.
Non è ingratitudine, quanto piuttosto un sentirsi talmente figli, che a volte ci si scorda di non essere nati dalla pancia di mamma.
Non “esotizzate” il nostro Paese d’origine; non vestiteci con abiti che là nessuno indossa più; non iscriveteci a corsi di balli tradizionali o lingua.
Sappiamo molto bene da dove veniamo: lo specchio ce lo ricorda ogni giorno.
Se avremo bisogno di scoprire, andremo alla ricerca, e il vostro appoggio sarà indispensabile.
Ma potrà anche capitare il rifiuto, per un po’.
Nessun dramma: è difficile per chiunque sentirsi a metà tra due mondi; lo è anche per noi, che cresciamo e cerchiamo di formare la nostra identità.
Viviamo spesso di contraddizioni: ci vantiamo di essere nati altrove, ma non sappiamo quasi nulla di quei luoghi. Mostriamo con sorriso beffardo la carta d’identità che scrive di un Paese lontano, però poi rispondiamo in dialetto alle domande, con un briciolo di saccenza. Abbiamo l’esigenza di mescolarci e passare inosservati, per non dover sempre dare le stesse spiegazioni... ma al tempo stesso proviamo la necessità di sentirci orgogliosamente diversi.
Si rimane così, in bilico.
Nessuna ricetta, dunque...
Insegnateci a non aver paura di essere ciò che siamo.
Insegnateci l’amore per la scoperta.
Create il bisogno di mettere radici.
Insegnateci a mettere in discussione i rapporti, affinché cambino e si arricchiscano, senza assopirsi sulla certezza di uno stesso cognome.
Tutto il resto è un banalmente meraviglioso - o meravigliosamente banale - rapporto tra genitori e figli.
Manuela A.
(reperita sul web)

Nessun commento:

Posta un commento