25 marzo 2015

Cosa è l'adozione

Vi proponiamo un interessante articolo della Dott.ssa Valentina Sbrescia, Psicologa, Psicoterapeuta e madre adottiva.
 
 Voglio cominciare questo articolo proponendovi una provocazione:
Chi di voi ha paura dell'uomo nero?
Probabilmente nessuno di voi alzerà la mano o esclamerà "Io!", pensando che questa è solo la solita vecchia storia che si racconta ai bambini per indurli ad obbedire, facendo leva sulla loro paura.
Forse però proprio la difficoltà ad alzare la mano è segno della paura di ogni adulto di ammettere la propria paura!
È proprio questo il paradosso della paura: averne paura.
Sicuramente a ciascuno di voi sarà capitato di provare paura o timore in qualche momento della vostra vita, magari per pericoli reali o forse rispetto alle aspettative nutrite nei vostri confronti dai vostri colleghi di lavoro, dai vostri familiari, dai vostri genitori o dagli amici, a volte anche dalle vostre stesse aspettative nei vostri confronti.
Bene, vi confido un segreto per sentirvi a vostro agio praticamente sempre: tutti quelli che respirano su questo pianeta hanno paura di qualcosa, che abbiano il coraggio di ammetterlo oppure no!
Credo che questa emozione sia l'unica che tutti possiamo dire di avere in comune con il resto dell'umanità.


La parola "Adozione"
Adesso vi starete certamente chiedendo come mai ho scelto di iniziare parlandovi proprio di questo.
Ebbene, perché la parola "Adozione" non è una parola 'trasparente', cioè una di quelle parole che permette di individuare chiaramente e univocamente la situazione con cui ci dobbiamo confrontare, il contenuto cui ci si riferisce pronunciandola.
Al contrario, la parola "Adozione" rimanda ed evoca immediatamente l'esperienza del 'vuoto'.
Voglio portare la vostra attenzione e la vostra riflessione sul fatto che la paura del vuoto è probabilmente la più antica, primitiva ed oscura paura degli uomini: vuoto significa non avere punti di riferimento, non avere contatti, non avere un terreno su cui poter spingere i piedi per riuscire a stare dritti, non vedere dove poggiare il prossimo passo, non poter sopravvivere.
In altre parole 'vuoto' significa 'morte'.
E parlare di adozione significa parlare di vuoto.
Sì, perché non sappiamo cosa questo bambino si porta nello zainetto delle sue esperienze passate quando lo incontriamo per la prima volta... magari è vuoto o magari è pieno di brutte cose.
L'esperienza adottiva
È naturale quindi che l'avvicinarsi a questa esperienza, quella adottiva, evochi paura in tutti i suoi attori, siano essi futuri genitori, futuri figli, insegnanti, famiglia estesa, amici di famiglia o vicini di casa.
Tutti cercano di avvicinarsi cercando di mantenere in qualche modo le distanze, per non perdercisi dentro, per mantenere la propria identità.
Badate bene che dico TUTTI: come psicologa e come madre adottiva mi sono potuta rendere conto che persino i futuri genitori si avvicinano all'adozione con una serie di idee preconcette e difese che, se tutto va come deve andare, vengono abbandonate durante il percorso di avvicinamento al proprio figlio.
Gli stessi stereotipi possono essere osservati anche nei familiari e tra gli amici.
Il web è infatti pieno di "stupidari" sull'adozione che raccolgono una marea di luoghi comuni e oscenità varie realmente uscite dalla bocca di qualcuno.
Ma, prima di questo, quando si annuncia, fosse anche al proprio migliore amico, la decisione di adottare un bambino, immancabilmente seguono pochi secondi in cui l'interlocutore blocca il suo respiro, sbarra gli occhi, alza e porta indietro le spalle, cercando il più in fretta possibile di stabilire se ha capito bene, di dissimulare il suo stupore e di trovare qualcosa di eticamente corretto ed adeguato alla situazione da poter dire, senza ferire la sensibilità del futuro genitore adottivo.
Devo dire che immaginando la sequenza al rallentatore verrebbe proprio da ridere!
Il punto di partenza
Eppure, paradossalmente, ancora una volta, il vuoto è l'unico punto certo da cui poter partire in questa avventura, che, se tutto va bene, culminerà, ma non finirà, nella costruzione di una nuova famiglia.
Infatti l'adozione si costruisce proprio a partire da una doppia mancanza, poiché gli abbandoni sono sempre almeno due, se non di più.
I genitori sentono che la propria storia si è interrotta in qualche punto, che gli manca qualcosa, che tutto l'amore che profondono nella coppia non è generativo di nulla, sentono di aver perso una parte importante delle loro potenzialità: quella di poter diventare genitori di un figlio; il bambino sa bene che la propria storia si è interrotta da qualche parte perché non ha più un punto di origine, nel migliore dei casi, oppure la sua storia si genera da una violenza priva di amore.
Quindi, all'inizio del percorso, i genitori hanno il vuoto davanti, mentre il figlio ha il vuoto dietro; entrambi ignorano accanto a chi continueranno la loro strada nel futuro.
La mia esperienza
Vi ho raccontato queste cose perché proprio la paura è stata il mio punto di partenza in questo viaggio.
Lo stesso ho potuto riscontrare nel rapporto intimo con altri genitori adottivi.
In particolare, nella mia storia di figlia biologica mi è capitato di essere stata lasciata in ospedale non appena nata, per complicazioni di tipo medico.
In quegli anni non era concesso ai genitori di restare in ospedale con i figli, e così questo è stato per me come un abbandono.
Nel tempo questa esperienza si è innestata nella mia vita come una costante e latente paura del vuoto, inteso come solitudine completa, e come spontanea commozione di fronte a tutte le persone che io sentivo come 'abbandonate'.
Potrei parlare forse di empatia ma anche di identificazione proiettiva con le esperienze altrui.
Crescendo, l'idea dell'adozione si è fatta sempre più strada dentro di me: da adolescente-bambina nutrivo la speranza inconscia, forse, di guarire la mia ferita prendendomi cura della ferita di un altro bambino come me.
In ogni caso, quando a seguito di un percorso personale di crescita, mi sono resa conto che ero in grado di prendermi cura della bambina che ancora avevo dentro, il desiderio adottivo ha potuto prendere una forma più concreta.
Sono fermamente convinta infatti, che lo step necessario per diventare genitori di un bambino, biologico o adottivo che sia, consista nel diventare prima dei buoni genitori per se stessi.
Se ci pensate bene, quando comincia ad affacciarsi il desiderio di maternità o paternità, tipicamente si affacciano alla consapevolezza dei sogni in cui per la prima volta ci vediamo genitori di qualcuno, oppure svolgiamo funzioni genitoriali verso qualcuno o qualcosa.
Nel mio caso io feci un sogno molto intenso: sognai di tenere sulle gambe una bambina piccolissima, non sapeva ancora parlare né tenere la schiena dritta da sola.
Mentre la facevo giocare però lei si rivolse a me con una voce interiore adulta e consapevole, sostenendo la mia capacità di prendermi cura di me stessa e dichiarando la sua fiducia nella mia capacità di prendermi cura di lei bambina.
Il mio inconscio mi riconosceva la competenza genitoriale nei miei stessi confronti.
A quel punto non avevo più bisogno di qualcuno per sopravvivere, ma ero in grado di prendermi cura della vita di qualcun altro.
Naturalmente molti sono stati i passi percorsi in questo viaggio, ed in realtà sto ancora viaggiando, verso mio figlio e verso di me, ma credo di poter dire con certezza che questo è stato per me il punto di svolta: prendermi cura della mia paura!
Se normalmente ad un qualsiasi genitore, non viene richiesta nessuna competenza per poter avere un bambino, i genitori adottivi sono generalmente maggiormente consapevoli di se stessi e della scelta che fanno, ed oltre tutto devono giustificare la propria scelta di fronte a tutta una serie di attori burocratici.
Tuttavia spesso questo percorso è talmente intimo che non se ne parla volentieri: spesso chi si muove intorno alla coppia non ha sviluppato le capacità di ascolto e comprensione necessarie a ricevere il racconto.
Per questo invito tutti i lettori, colleghi o personalmente coinvolti in storie adottive, a sviluppare tenerezza e accoglienza verso le proprie paure prima di approcciarsi a famiglie di questo tipo, non perché siano diverse o più delicate, ma perché hanno una consapevolezza diversa di sé e della propria storia.
Conclusione
Per concludere, che si tratti di 'uomo nero', 'zingaro', 'Al Qaeda' o 'talebano' che sia, non si può inoltrarsi in questo mondo senza aver fatto prima i conti con il vuoto e con la paura che ognuno di noi porta dentro, perché saranno proprio questi a creare un ponte tra noi e nostro figlio, tra noi e nostro nipote o tra noi ed il nostro alunno, tra noi psicologi e le famiglie adottive con cui entreremo in contatto.
Non intendo dire con questo che le persone implicate in una storia adottiva siano 'speciali' o migliori di altre, ma semplicemente che per vivere questa storia è inevitabile diventare 'completamente umani', cioè persone in grado di ascoltare la propria paura, di esprimerla e di trasformarla in qualcosa di bello e prezioso.
Cosa è l'adozione?
Credo di poter dire che sia il desiderio di diventare famiglia.
Credo che sia l'occasione più bella per migliorare se stessi e sviluppare tenerezza e affetto verso di sé e verso l'Altro da sé per definizione.
Credo che sia un itinerario verso il raggiungimento della propria umanità, e non un mero atto di generosità verso un bambino sfortunato!
 


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