22 aprile 2015

“Le parole sono pietre: come spiegare il pensiero della differenza?”

Pubblichiamo un articolo di Francesca Massa, tratto da “Fattore famiglia”  che ci offre interessanti spunti sul valore delle nostre parole

Quest’estate mia figlia di quattro anni mi ha posto di fronte a un nuovo dilemma: come spiegare a un bambino la disabilità? Con quali parole? La nostra vicina di casa del mare è una ragazzina di 15 anni, Bianca, affetta da sindrome di autismo, che si è appassionata a mia figlia da quando nell’estate del 2008 ci ha visto arrivare con un fagottino di due mesi. Ci vediamo e comunichiamo da terrazzo a terrazzo e anche mia figlia ha subito risposto alla simpatia di Bianca con grandi sorrisi e saluti con la manina prima, con canzoncine, giochi mimici, scambi di biscotti e pennarelli poi. Ci vediamo solo d’estate, quindi una volta all’anno, per cui la crescita della bambina Cecilia e dell’adolescente Bianca è molto evidente ogni volta che si rivedono e condividono i loro momenti sui rispettivi terrazzi.

Quest’anno, per la prima volta, mia figlia mi ha chiesto: ” ma perché Bianca ripete sempre le stesse cose? e perché fa sempre lo scherzo di far cadere il suo orsetto dal balcone? e perché non mi risponde quando le chiedo qualcosa?, E’ un po’ strana…”.

Ed eccomi in crisi! Come glielo dico? Le parole sono pietre diceva Nanni Moretti in suo film e possono davvero cambiare le cose ci insegna Roberto SavianoIo ne ho sempre sentito tutto il peso ma da quando sono madre ne misuro l’importanza in ogni cosa che dico e la forza nel costruire significati che poi diventano convinzioni in una direzione o nell’altra.

Certe risposte, a volte, sembrano più facili e sembrano sul momento togliere dall’impiccio di dare appunto una risposta, ma possono creare nei nostri bambini pensieri e vissuti che non ci corrispondono. Se, per esempio, avessi detto: Bianca è così perché è malata, avrei detto a mia figlia che ha qualcosa che le fa male e da cui sarebbe meglio che guarisse, se le avessi detto che il suo cervello non funziona bene le avrei comunicato che ha qualcosa che non va, e tante altre risposte possibili non corrispondevano a ciò che penso e non avrebbero soddisfatto la sua naturale curiosità.

Me la sono cavata dicendo che Bianca è nata così, che ognuno di noi nasce con qualcosa di molto speciale che nessun altro ha e che questo fa di ognuno di noi una persona diversa da un’altra. Per ora ha sopito la sua curiosità intellettuale ma la mia risposta non è piaciuta del tutto a me e so che nel tempo non basterà a lei.

Al di là del caso specifico però la questione ne apre un’altra con cui immagino tutti i genitori debbano confrontarsi: come trasmettere ai nostri figli il concetto, ontologico, prima ancora che psicologico e sociologico, della diversità? Il pensiero della differenza è un terreno sdrucciolevole e molto delicato e passa certo attraverso l’esperienza ma forse, molto più primitivamente e costitutivamente ,attraverso le parole che sono state usate per dirci certe cose durante la nostra infanzia, quando le abbiamo incontrate per la prima volta, con lo stupore e la meraviglia della prima volta.

I bambini sentono tutto ciò che diciamo e crescono dentro ai nostri discorsi, questo lo sappiamo bene ma stiamo sempre attenti alle parole che usiamo? Con quali parole risponderò al suo “mamma perché quel bambino ha la pelle nera?” oppure ” mamma perché quella bambina ha due mamme in casa ma non ha un papà?” oppure ancora “perché la mamma di quel bambino ha sempre la testa e la fronte coperte?” e poi “cosa vuol dire morire? e dove si va quando si muore”, “perché mangiamo gli animali morti?” e così via?

Sapere che le parole che userò hanno a che fare con il sistema di valori in cui sono inscritta, con le mie idee politiche, con i miei condizionamenti culturali, con la mia storia personale, con l’educazione che ho ricevuto, con la mia spiritualità, in breve con la mia visione del mondo, sembra ovvio e in parte forse rassicurante ma se la trasmissione della nostra visione del mondo e del nostro modo di abitarlo fosse più consapevole, forse staremmo più attenti alle parole che usiamo e a quello che diciamo e daremmo loro le coordinate che cercano per orientarsi nella crescita con più serenità.”

FONTE: Francesca Massa In fattore famiglia

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